8 marzo Festa dei Fiorai

L' 8 marzo diventa una festa grazie alla geniale idea di una cooperativa di agricoltori della Tasmania.
L' economia andava male, il 1907 era stato un anno disastroso, però c' era questa pianta gialla che cresceva dappertutto ( più della "Salvinia Molesta" comunemente chiamata "Tea"), la Mimosa che ormai tutti volenti o nolenti conosciamo.

Gli agricoltori fecero un Congresso Internazionale a cui parteciparono i grandi della Terra perché volevano creare opportunità di lavoro per le donne che agli inizi del '900 se la passavano male.
Non che ora se la passino meglio però almeno oggi abbiamo gli assorbenti con le ali, volete mettere?

L' idea fu di istituire una giornata mondiale della donna, dalla quale all' inizio furono escluse le femministe americane, troppo borghesi dicevano, ma i veri motivi erano altri.
E la mimosa si prestava benissimo per celebrare l' 8  marzo, ha i fiori gialli come il sole e già allora si usava dire che le donne erano solari, inodori, ma i rametti si prestavano benissimo.
Una volta tagliati, confezionati si regalavano alle donne; dopo due giorni i fiori cominciavano a cadere, spargendosi ovunque e così le donne c' avevano da pulire di più.
E poi erano le operaie donne che confezionavano i rametti che poi gli uomini avrebbero venduto nei loro chioschetti fuori dai cimiteri, che visto l' alto numero di femminicidi finita la stagione dei crisantemi la mimosa era perfetta.

Con gli anni e il benessere economico ci si dimenticò del vero significato dell' 8 marzo in parte anche perché le donne cominciavano a sclerare quando un uomo si avvicinava con un rametto di mimosa:
" No guarda, preferisco un buono acquisto da Zara, ma la mimosa te la puoi tenere, che poi tocca a me pulire e so' pure allergica!".

Amici, compagni, fidanzati, mariti e affini, l' 8 marzo invece delle mimose regalateci l' 8 per mille, al resto pensiamo noi.

La salute è un mio diritto, è un diritto di tutti.

Sono già passati due anni esatti, sembra ieri.
Era il 18 febbraio del 2012 quando in seguito a un intervento di routine alla vagina, fatto per questioni non estetiche ma di funzionalità mi ritrovavo con una fistola rettovaginale dovuta all' imperizia e alla scarsa competenza del medico che mi ha operata.
Io la visita l' avevo fatta con un altro medico e ho dovuto aspettare quattro anni, si sa che in Italia le liste di attesa sono lunghissime.
All' intervento non trovai il medico che mi aveva visitata ma un giovanotto, un po' bullo, che non mi ispirò fiducia.
Mi fu detto che dovevo fidarmi, era l' allievo prediletto del chirurgo che mi aveva operata nel 2000.
Ho scoperto in seguito che è il nipote, forse deve a quello il posto che gli è stato assegnato.
Fui operata senza seguire i protocolli e una settimana dopo una volta tolte bende e garze e tornata a casa mi accorsi di avere perdite di aria e altro dalla vagina.
Mi precipitai a Roma, dal medico che mi aveva operata, chiaramente mi fece intendere che lui aveva fatto un capolavoro di intervento e che i problemi me li ero causata da sola, magari con le lavande vaginali.
Già, perché noi donne se ci facciamo una lavanda la spingiamo fino al collo dell' utero.
Mi fece una veloce visita esterna e mi disse di aspettare, quel buchino si sarebbe chiuso da solo, evidentemente anche lui come la famiglia Anania crede nella Provvidenza e nello Spirito Santo.
Mi raccomandò di nutrirmi solo di liquidi, per evitare di produrre feci e aspettare.
Un mese a digiuno, bevendo te, succhi di frutta,e yogurt liquidi.
Intanto mi ero rivolta alle strutture della mia Regione, la Toscana, visto che l' intervento era stato eseguito a Roma. Niente da fare, nessuno interviene su interventi fatti da altri.
Ok, anche se non lo trovo eticamente giusto almeno visitarmi.
Nulla da fare, neanche quello:poi in forma privata e grazie ad amici sono riuscita a fare una tac e una risonanza, la fistola era quasi una perforazione dell' intestino visto il diametro, ben tre cm.
Mi sono rivolta a tutte le strutture di Italia, nessuno si è voluto far carico della situazione dovevo tornare a farmi curare dal Dottor Mengele.
E così a maggio mi ritrovo a Roma nello stesso ospedale, vengo sottoposta a un intervento per chiudere questa voragine con dei punti.
Ho scoperto solo in seguito che l' intervento serviva solo a nascondere i guasti del primo; i tessuti della vagina erano andati in necrosi.
Così a tre giorni dell' intervento mi accorgo di avere ancora perdite dalla vagina.
Lì perdo il lume della ragione, protesto, urlo anche perché mi viene detto che devo sottopormi ad un terzo intervento, la deviazione dell' intestino.
Mi rifiuto di farmi rioperare dallo stesso medico, chiedo aiuto ad amici parlamentari, lo so è brutto, non si dovrebbe fare, ma vengo operata da un altro medico e con la laparoscopia.
Mengele già parlava di tagliarmi come per un cesareo.
Dopo l' intervento fui cambiata di stanza e messa in isolamento, in modo da non potermi relazionare con gli altri pazienti e intanto il personale ospedaliero faceva girare la voce che in quella stanza c' era una pazza pericolosa, una drogata da cui tenersi alla larga.
Sono bravi a delegittimare la gente e poi la parola di un primario vale più della mia.
Mi nutrivano con le flebo, avevo perso peso, capelli, vista, ero sola e lontana da casa.
Dopo quasi un mese fui dimessa con queste parole:
" Tra sei mesi ti rimettiamo a posto l' intestino e se devi fare qualcosa d' ora in poi (per qualcosa intendevano sesso), ti giri e dai il culo ".
Eh si, c'è molta considerazione delle donne transessuali anche negli ospedali italiani.
Tornata a casa andai dai carabinieri a denunciare.
Iniziò la seconda parte del calvario.
Avevo bisogno di cure, interventi, ma nessun ospedale come già successo in precedenza volle curarmi.
Nessun giornale volle pubblicare la notizia, non ci si mette contro gli Ospedali che godono di appoggi dall' alto.
Dopo sette mesi cominciai ad agire da sola.
Pedinavo l' assessore regionale alla sanità e a ogni sua conferenza stampa prendevo la parola e guai a zittirmi.
Quando a forza di gridare cominciai ad attirare l' attenzione dei media e delle TV, la Regione si mosse subito e mi affidò a quel medico fiorentino che per più di un anno non mi aveva voluto ricevere.
Altri tre interventi non sono bastati a risolvere la  situazione, ne servono altri due.
Il primo a breve e il secondo all' estero se avrò i soldi.
Intanto il processo è fermo, il medico di Roma ha continuato a operare fino a maggio e ha rovinato la vita ad altre donne.
Io sono ancora stomizzata e la mia vagina è uguale a quella di una donna infibulata.
Mi hanno portato via due anni della mia vita, negandomi il diritto alla salute, al lavoro, perché fisicamente non sono in condizioni di lavorare, ad avere una vita sessuale e sentimentale.
ma se sperano che mi arrenda, si sbagliano, pagheranno caro e tutto
Nessuna persona dovrà trovarsi più in queste situazioni.
Però perché questo succeda bisogna che le persone prendano coraggio e inizino a denunciare invece di affidarsi ad Associazioni che difendono solo i loro di interessi.

#HumanFactor- The never ending story

Fiuuuuuuuuu, ce l' abbiamo fatta, siamo a Milano a La Permanente per Human Factor.
La mia amica Vania era stata chiara:
" Ele fatti trovare pronta alle 9.30, mi raccomando, passo a prendere Ale poi Fabio e siamo da te"
9.30 primo messaggio Ale :"E la Vania?"
9.40 secondo messaggio Fabio:"E la Vania?".

Finalmente alle 10.15 arriva Vania trafelata, stavolta è in ritardo perché il suo cane ha vomitato.
Lei ti tira fuori delle scuse a cui non crede lei per prima ma la prendiamo per buona, dobbiamo andare, è tardi.
Però la ringrazierò a vita, grazie al suo ritardo mi son persa l' intervento del "Filosofo" Cacciari.
Che c' azzecca lui poi con una "Nuova Sinistra"? Mistero.

Mi registro, mi guardo intorno, tanta bella gente, quando sento c' è Pisapia, c' è Pisapia, e vengo travolta da un' orda di cameraman:
" Cazzo, fate attenzione o vi faccio causa. Sapete quanto costa un chirurgo estetico?".
Non mi si filano di pezza, sembrano delle trottole.
Vado al piano di sopra e partecipo al tavolo sui Diritti Civili, con noi c' è Vendola.
Lo vedo felice, è molto partecipe, però non si sente nulla, in una sala sono concentrati una ventina di tavoli a cui partecipano 50 persone e 100 tra giornalisti e cameraman.Ci sono più telecamere che partecipanti.
Però è bello uguale.

Intanto ho conosciuto David e Chiara con cui eravamo amici su Facebook, mi accudiscono come si fa con una sorella piccola. Mi sento a casa.

La sera cerchiamo un ristorante per mangiare, ce ne sono un paio nel giro di dieci metri, ma noi no, eroicamente facciamo sette chilometri a piedi per una pizza.
Al ritorno io e Ale ci guardiamo:" Taxi?" e siamo già su "Lugano 68".

L' indomani si ricomincia, è l' ultimo giorno e ci saranno Fassina, Cuperlo, Civati, la minoranza PD va.
Io sembro Renzi, mi sparo selfie con tutti, rilascio interviste che non saranno mai pubblicate.Entro, esco, vado su, torno giù.
Mi commuovo ascoltando Paola Natalicchio, lei ha una marcia in più
Conclude Vendola con un intervento bellissimo, però dice che ci si rivede in primavera per ricostruire la nuova sinistra.
Un po' come la Salerno-Reggio Calabria, non si saprà mai in che anno sarà conclusa, però siamo felici, abbiamo vinto in Grecia

Tutto si conclude sulle note di "Bella Ciao" e io penso:
" Ti prego o partigiano, portami via che mi sento di morir!".

Gay is OK, Trans un po' meno per qualcuno.

Era il febbraio del 2014 quando Vladimir Luxuria si presentava a Sochi durante le Olimpiadi Invernali vestita da matrioska ma coi colori arcobaleno e dopo aver sfilato a un concorso di Drag Queen in una discoteca gay, una volta uscita dopo aver forse ecceduto con la vodka urlava a tutti quelli che la incontravano "Gay is Ok...Gay is Ok" tanto che fu fermata molto probabilmente per schiamazzi notturni e subito rilasciata.
Ma la povera Vlady aveva già pianificato un piano ben preciso con la complicità di alcuni inviati de Le Iene.
Il programma infatti manda subito in onda un servizio dove si vede la povera Vlady che bussa alla porta della camera d' albergo degli inviati che dotati di poteri soprannaturali avevano già creato l' ambiente per una sit com.
Telecamere ovunque, come se aspettassero qualcuno e quando aprono la porta e appare Santa Vlady turbata e piangente, i due inviati agghindati come i cantanti dei Village People si fanno venire una crisi isterica:
"Oddio Vlady, che ti hanno fatto quei cattivoni? Chiama la Farnesina subito, è una vergogna!".
Vlady chiama, piange, ma userà un fondotinta waterproof, perché il trucco rimane intatto.
E quelli della Farnesina sembrano preoccupati, tranquillizzano la poveretta che ha subito un trauma pazzesco.
Partono le agenzie di stampa:"Luxuria arrestata in Russia per propaganda Gay".
Ci casca anche Emma Bonino, poraccia, c' ha na certa pure lei e ormai è un po' una vecchia zia amorevole.
Prima Bonino rilascia interviste dicendosi indignata per l' arresto di Luxuria, qualche ora dopo è costretta a smentire, l' arresto era un semplice fermo, come potrebbe capitare a qualsiasi straniero che si mette a molestare ogni poliziotto russo che passa.
Lei c' era andata per difendere i diritti delle persone omosessuali in quanto la Russia aveva vietato la Propaganda Gay vale a dire, niente Pride, non parlare di omosessualità in giro e men che meno baciarsi in pubblico.
La Home di Facebook era invasa da video e interviste di Santa Vlady da Foggia che al suo ritorno si fece il giro delle sette chiese.
La mattina su Rai1 il pomeriggio su Canale5 dalla sua amica Carmelita D' Urso, Quelli che il calcio.
Solo da Giacobbo non è andata.
Però ha rimediato andando a casa di Berlusconi e sempre per parlare dei diritti dei gay eh, non per avere visibilità perché a lei non piace apparire.
Ora in Russia è stata varata una Legge che vieta la guida alle persone transessuali e crossgender perché ritenute malate di mente, al pari di necrofili e pedofili.
E sulla pedofilia qualcosa da dire a Putin ce l' avrei, pare che abbia avuto una storia con una ginnasta minorenne: Ritiro della Patente subito, ma anche del passaporto, dipendesse da me.
Ma stranamente non ho visto la stessa indignazione della Comunità... si quella, scusate è che aggiungono ogni giorno una lettera alla sigla che dovrei ripassarmi l' alfabeto.
Cara Vladimir Luxuria, nel caso volessi andare in Russia a difendere i diritti delle persone transessuali, non c' è problema, organizzo una colletta io per il viaggio, di sola  andata però.

Les pieds noirs

"Les pieds noirs" è un termine dispregiativo che oggi viene usato in Francia per definire cittadini francesi di origini magrebine, e non è certo un complimento.
Parte della famiglia di mia madre negli anni '50 si trasferì in Francia, per l' esattezza nel Lot et Garonne, nel sud-est del Paese, la regione francese più povera.
Per anni sono andata a fare le stagioni estive a Castelmorn sur Lot, un piccolo paese di campagna abitato da vecchi.
Neanche mille abitanti, isolato in aperta campagna, un tabacchi, due bar, un macellaio e un fruttivendolo.
Però c' erano ben tre "Coiffeur pour dammes" che alle vecchie dame francesi piace avere la piega in ordine.
L' estate però tornavano i giovani che facevano l' università nelle grandi città francesi e come me lavoravano nei campi, a raccogliere fragole, prugne, pomodori.
Anche i figli dei ricchi, perché pur potendo avere ogni cosa dai genitori volevano essere indipendenti economicamente.
La sera si chiudevano tutti in casa, nella tristissima piazza del paese trovavi solo ragazzi francesi nati dai famosi pieds noir, e io che sono sempre stata una ribelle, malgrado la cattolicissima zia brontolasse, la sera stavo con loro, si beveva una birra si scherzava.
Ricordo la mamma di Rachid, che quando ci vedeva seduti in piazza ci portava dei dolcetti fatti in casa tipici del suo paese di provenienza la Tunisia. Era una donna dolcissima.
Qualche volta ho provato ad andare a ballare con questi ragazzi, ma a loro era negato l' ingresso nei locali, non erano ben accetti.
Esiste un apartheid anche in Francia è inutile che ci giriamo intorno.
Queste persone sono state sbattute fin dal loro arrivo in Francia in casermoni nelle famose "Banlieue
", le periferie degradate delle grandi città.
Tacciati di essere parassiti, e di vivere grazie ai sussidi perché fanno tanti figli.
Io ne ho visti molti lavorare con me nei campi duramente.
Fino a prima della guerra in Iraq voluta da George W Bush, la convivenza era pacifica, o almeno abbastanza pacifica, ma dopo quella guerra nulla è stato più uguale.
Oggi l' Occidente oltre a condannare gli attentati terroristici avvenuti in Francia dovrebbe anche chiedere scusa per le guerre fatte anche senza l' autorizzazione dell' ONU, perché se vogliamo dirla tutta gli USA con la complicità di molti Paesi Europei ha innescato questa bomba.
E temo che non sia ancora finita.

Papa Francesco, la Madonna cucinava e stirava le camicie di Gesù e Giuseppe

" Quella di Nazareth non era una famiglia finta, irreale. Maria la mamma cucinava, faceva tutte le cose di casa, Giuseppe faceva il falegname e crescevano Gesù in una periferia malfamata ".
Così Papa Francesco durante L' Udienza generale di ieri ripercorre la vita di Gesù.

Ho provato a immaginarmi la scena, Gesù che va da Maria:
" Mamma, me l' hai stirata la camicia bianca? Stasera sono a cena da Renzi ".
" Maria, c' è poco sale nella pasta!" strilla Giuseppe dal tinello.
Maria lavorava così tanto in casa, che la sua manicure quando la incontrava e le guardava le unghia la pregava di non dire in giro che era una sua cliente.

Che poi vivevano in una periferia malfamata, continua il Papa; una di quelle periferie dove ad ogni grotta trovi uno che spaccia. Fu così che Gesù fu inghiottito dal vortice della tossicodipendenza.
Quando assumeva LSD vedeva gente resuscitare, immaginava di camminare sull' acqua.
Ma i soldi per la droga non bastavano mai, così Gesù iniziò a spacciare, ma un giorno un suo cliente Giuda, fu fermato dalla questura e per non finire dentro per colpa della Fini-Giovanardi decise di collaborare e per 30 euro disse il nome del suo spacciatore.
Si concluse così la carriera di spacciatore di fumo di Gesù, nel malcontento generale dei suoi 12 clienti più affezionati, perché va detto, Gesù vendeva dell' erba da dio.

Giuseppe era furioso con Maria:
" Io lavoro da mattina a sera, sei tu che l' hai educato male, tu, con la tua furbizia tipicamente orientale!".
Si Giuseppe aveva seguito tutti i processi di Berlusconi e ricordava quella famosa frase.
Maria era stanca, aveva fallito come madre, come moglie, si sentiva offesa come donna.
Andò via di casa e intraprese la carriera di cantante, cominciò a farsi chiamare Madonna, raggiunse risultati mai raggiunti prima da una cantante donna, diventando una vera "Icona".

Verrà ricordata per il famoso pezzo "Papa don't preach".

Un trans chiamato desiderio

"Le persone transessuali sono inutili"
"A me fanno schifo ma cazzi loro"
"E come dovrei chiamarli?"
"Persone, sono persone"
"Non ci si può offendere per ciò che si è se viene detto in tono constatativo"
"Parlano di diritti gay invece che di diritti sociali, costruendosi da soli un recinto per diritti a loro esclusivi come se fossero qualcosa di diverso"
"Ma da quando non si chiamano trans? Mi sono persa un passaggio?"

Questi sono solo alcuni dei commenti letti sulla pagina facebook de L'Espresso a proposito dell' articolo di Antonio Sciotto "Transessuale cioè normale"

Parto dall' ultimo, c' è gente che di passaggi se ne è persi parecchi.
L' articolo inizia partendo dalla mia storia, io sono anagraficamente donna, lo sono diventata nel 2000 in seguito a un intervento e nel 2001 anche sui documenti sono diventata Elena Sofia, una persona mediamente intelligente capirebbe da sola perché è sbagliato definirmi "Un Trans"
Sbagliato da un punto di vista grammaticale, mancanza di rispetto per il percorso di una persona ma sopratutto una volta per tutte:
 "Un Trans" è una persona nata uomo in un corpo da donna, non si riconosce in quel corpo perché si percepisce come uomo e allora è giusto usare il maschile.
Nel caso inverso invece e cioè da uomo a donna si dice "Una Trans" al femminile.


Ma ci vuole tanto? A me sembra così semplice. Se incontro una persona con un aspetto femminile che parla di sé al femminile io mi rivolgerò a questa persona usando pronomi articoli e aggettivi al femminile, e non è solo una questione di forma ma di sostanza.
Se mi chiamo Elena, perché devi definirmi "Un Uomo", "Un Trans", "Un Travestito"?
Ma poi, perché devi definirmi? Penso che l' unica che abbia il diritto di farlo se volessi sarei io.

Non ti rivolgi a una lesbica definendola "Un donno" o a un gay "Una uoma", forse così è più chiaro.

Gli uomini e le donne sui documenti alla voce "Sesso" c' hanno scritto "Persona"?

L' articolo parla di transessualismo e gente che probabilmente ha fatto le medie con Renzo Bossi t' attacca un pippone sui matrimoni gay.
"Farli sposare? No!" "Figli? Mai!"
E allora le foibbbbe???

Diritti sociali e civili dovrebbero andare di pari passo, infatti nell' articolo si parla di "Diritto al lavoro" e vengono citate le statistiche che riportano le percentuali delle persone transessuali che non riescono a inserirsi nel mondo del lavoro perché discriminate per la loro identità di genere.

Poi ve lo assicuro e potete fidarvi eh, tutti gli uomini a cui ho sentito dire:
"A me i trans fanno schifo" li trovate tutti in giro la notte in cerca di trans o crossgender che si prostituiscono e li pagano per farci sesso, e li scelgono in base alla taglia e non parlo di seno.

Fossi in queste persone tacerei, le persone transessuali hanno tutte dei genitori che quando li hanno messi al mondo non immaginavano lo fossero. Domani potrebbe toccare a voi, sono cose che non scoprirete con una ecografia o con l' amniocentesi, foppedivvelo.

In Italia manca una legge contro l' OMOTRANSFOBIA altrimenti molti di voi si sarebbero beccati tante di quelle denunce che manco Fabrizio Corona.
Spero di essere stata chiara.
Amicalement votre
Elena Sofia

P.S. Al prossimo post vi attacco un pippone io sul Femminismo.

Transessuale cioè "normale", ma cos' è la normalità?

Antonio Sciotto

"Certo, un insulto ti può ferire, ma quello che trovo più offensivo è che tante persone possano ancora definirmi 'un' trans". Elena Trimarchi, fiorentina, calca molto su quell'articolo maschile: "Ho sofferto per diventare quello che mi sono sempre sentita, una donna, e la società italiana mi tratta come se appartenessi a un branco indifferenziato, un fenomeno da baraccone utile solo per la cronaca nera o il gossip. Per l'informazione siamo 'il trans rapinato', o 'violentato'. Oppure prostitute, l'estremo rifugio per mariti annoiati".

Da Catania a Genova, da Taranto a Padova, i nostri concittadini transgender stanno combattendo da anni una battaglia silenziosa, che a piccoli passi li sta portando verso una piena integrazione. Non è facile, però: la strada è lunga, è fatta di insulti e solitudine, di incomprensioni familiari, di violenze e discriminazioni, soprattutto sul lavoro. Anche di omicidi: siamo il paese europeo, insieme alla Turchia, con il maggior numero di persone trans uccise nel 2013 (5 sul totale mondiale di 238, dati Tgeu-Transgender Europe).

Ma accanto ai drammi e alle sofferenze, ci sono storie di riscatto. Negli uffici pubblici, nelle fabbriche, nelle università, chi è transessuale tende a non nascondersi più, ma anzi reclama diritti. Come Vittoria Vitale, catanese di 24 anni. Studia Scienze della Comunicazione nell'ateneo della sua città, e ha avviato la transizione verso una piena identità femminile a 18 anni. Ma sulla carta di identità è ancora 'Giuseppe', e questo la espone a situazioni imbarazzanti, a volte perfino umilianti. 

"A un esame – racconta – il professore faceva l'appello: quando ha chiamato 'Giuseppe', e io mi sono alzata, tutti si sono voltati e mi hanno squadrata dalla testa ai piedi". Sostenuta da un'associazione studentesca Lgbtqi, Vittoria ha fatto una piccola rivoluzione: come è già accaduto per gli universitari di Torino, Bologna, Napoli, Urbino, è riuscita a ottenere dal rettore un libretto provvisorio in cui è registrata con il suo nome femminile.

"Ci dispiace, per lei non c'è posto"

Ma il problema non è solo quello di garantire la privacy alle Poste, in ospedale o in palestra: la discrepanza tra la carta di identità e l'aspetto fisico sembra essere determinante anche per molti datori di lavoro. Michela Angelini, livornese, ha lanciato su Change.org una petizione per l'approvazione del disegno di legge 405, che prevede la possibilità di ottenere il cambio di sesso e di nome sui documenti indipendentemente dall'intervento chirurgico sui genitali, e senza l'autorizzazione del giudice (l'attuale normativa, risalente al 1982, impone di fatto questi passaggi). Basterebbe insomma un iter certificato dal sistema sanitario. La proposta di modifica, sottoscritta da Sergio Lo Giudice (Pd) e Alberto Airola (M5S), è anche al centro di una campagna del Mit (Movimento italiano transessuali) dal titolo "Un altro genere è possibile". 

Michela è veterinaria, e spiega di aver sostenuto molti colloqui di lavoro, tre dei quali andati a buon fine: "Ma non mi avevano ancora chiesto i documenti: quando ho chiarito che sono transgender, il posto è andato ad altri". Lei vorrebbe vivere una vita "normale": da qualche anno si è legata a Egon Botteghi, pure lui transessuale, ma con un cammino inverso, da donna a uomo. Egon ha 42 anni e due figli piccoli, Pietro e Viola, di 9 e 6 anni: ha dovuto spiegare loro che la mamma, pur "trasformata", di fatto rimarrà sempre la mamma. I bimbi hanno accettato, e adesso hanno un ottimo rapporto anche con Michela.

Secondo i dati diffusi da Arcigay e Mit nel manuale "Rights at work", in Italia negli ultimi 10 anni il 13% di gay e lesbiche ha visto respinta la propria candidatura a un colloquio di lavoro a causa del proprio orientamento sessuale, e il 4,8% dichiara di essere stato addirittura licenziato. Percentuali che per chi è transgender lievitano rispettivamente fino al 45% e 25%. Il 26,6% delle persone Lgbtqi decide quindi di non rivelarsi sul luogo di lavoro. Elena Trimarchi racconta che a lei hanno sempre sbattuto la porta in faccia, sia a sinistra che a destra: "Mi sono rivolta alle coop rosse, senza risultati. Poi mi ha assunto, in nero, una famiglia bene, come segretaria di un noto studio medico: i figli hanno saputo che ero attivista e mi hanno cacciata via". Solo la politica (quasi un paradosso) le ha offerto un riscatto: Sel l'ha presentata alle ultime comunali di Firenze, e Elena ha raccolto parecchi voti.

Stesso destino di precarietà è toccato ad Alexandra Petanovic, di Belgrado, fuggita da una Jugoslavia ormai in disfacimento, nel 1994, durante la guerra. Nei primi anni Ottanta teneva i capelli lunghi, i jeans attillati e gli stivaletti a mezza coscia in un paese che perfino negava l'esistenza degli omosessuali: "A 18 anni mi dovetti arruolare nell'Armata popolare jugoslava, super machista. Un capitano si invaghì di me, ma dopo due mesi mi esonerarono, diagnosticandomi una 'invertio sexualis'". 

In Italia Alexandra compie la sua transizione, si laurea e prende il dottorato all'Università pontificia, scrive un saggio accademico su Elena Dragas – "di origini serbe, l'ultima imperatrice bizantina" – ma quando chiede un posto all'università l'incanto finisce. Oggi fa la badante. Due anni fa è stata protagonista di un grave episodio di transfobia ad Ardea, vicino Roma. Un gruppo di naziskin locali l'ha prima insultata, e poi le ha fatto trovare l'auto devastata, con due banane e un cumulo di feci sul tettuccio. Ovviamente sono partite le denunce. Ha raccontato la sua storia nel libro autobiografico "Requiem rosa".

"Però noi ora stiamo bene"

Differenti, quasi con un lieto fine, le storie di altri transgender, che dopo una sofferta transizione sono riusciti a integrarsi. Alessandro Iuliano, 41enne di Padova, dichiara di non aver mai subito discriminazioni: "Forse perché chiarisco sempre chi sono, senza pretendere che gli altri sappiano già tutto di me". Alessandro lavora da 17 anni in una impresa metalmeccanica di oltre 300 dipendenti, è assistente post-vendita. "Deciso di compiere il percorso, ho incontrato il direttore generale, accompagnato da un sindacalista Cisl. Poi ho fatto un lungo tour, ufficio per ufficio: ho spiegato che 'Lisa' andava via e che ora c'era Alessandro. L'hanno presa tutti bene, anche il presidente".

Stessa accoglienza positiva per Angelo Borrelli, napoletano di 36 anni. Dal 2001 lavora per una grossa catena di ristorazione autostradale, a Parma. "Ho compiuto il percorso continuando a spostarmi dalla cassa al bancone, con i manager, i colleghi e i clienti che mi seguivano giorno per giorno. Se devo essere sincero, ho ricevuto solo incoraggiamenti: diversi camionisti si sono complimentati, dicendo che ho avuto coraggio".

Ben inseriti, a Cagliari, sono Arianna Ghiglieri e Marco Michele Angioni, entrambi transgender e legati da una relazione sentimentale: 35 anni lei e 24 lui, hanno dovuto affrontare nell'adolescenza la contrarietà di alcuni familiari, ma poi tutto è filato liscio. Arianna segue le istruttorie per un'agenzia di finanziamenti: "Mai subito discriminazioni sul lavoro – spiega – ma so bene che il problema per altri esiste, e infatti partecipo alle iniziative pubbliche per i nostri diritti". 

Marco è dipendente di una nota catena di ristorazione: "Inviai un curriculum al maschile – dice – e rivelai che i documenti erano al femminile solo alla fine del colloquio. Il capo, che aveva già lavorato negli Usa e a Milano, mi rispose: 'Va bene, e quindi? Ritorna domani che così cominciamo'".

Difendere le persone trans può diventare una professione, e così Alessandra Gracis, avvocatessa trevigiana, anche lei transgender, ha tra i suoi clienti una ventina di ragazze operate in tutta Italia: cause avviate contro diversi ospedali, per gravi danni riportati in seguito alla vaginoplastica. "Il problema – spiega – è che dovremmo creare nel nostro Paese, così come avviene all'estero, un unico centro nazionale iper specializzato: da noi i chirurghi fanno pochi interventi l'anno in cento città".

Alessandra ha sposato Roberta prima di iniziare la transizione, ma per ora ha deciso di non adeguare i propri documenti: "Secondo la legge dopo il cambio di sesso si annulla il vincolo coniugale, ma una recente sentenza della Corte costituzionale ha ritenuto questa norma illegittima. A questo punto aspetto una nuova legge: non vorrei che la mia compagna perdesse diritti preziosi come la pensione di reversibilità".

Una spiccata dedizione verso gli altri ha anche Miki Formisano, rappresentante di commercio che vive a Taranto, vicepresidente di Nps Italia (Network persone sieropositive). Miki ha attraversato una giovinezza turbolenta, fatta di eroina, rapine e carcere: ha contratto l'Hiv, tra i primi in Italia, ed è miracolosamente sopravissuto alla malattia conclamata. Oggi sta bene, va regolarmente in palestra, ha trovato una compagna, Marilena: "Se negli anni Ottanta non avessi vissuto l'essere transgender come una colpa innominabile, perché mancavano del tutto le informazioni, sono certo che non sarei precipitato nella droga". Ma si è riscattato: aiuta le persone sieropositive, anima campagne di sensibilizzazione nelle scuole, ha scritto un libro con la sua storia, "Resto umano".

"In tv non ve lo dicono, ma invecchiamo pure noi"

"Costa molto essere autentica, signora mia, e in questa cosa non si deve essere tirchie. Perché una è più autentica quanto più assomiglia all'idea che ha sempre sognato di sé stessa". Agrado, straordinaria transgender dell'almodovariano "Tutto su mia madre", non ha dubbi. Ma appunto, la vita ti può bruciare.

Leda Peirano, camionista di Savona, sin da quando aveva 13 anni ama travestirsi, unico sfogo al suo desiderio di essere donna. Ha continuato a farlo in età adulta, sempre in segreto, perché nel frattempo aveva preso moglie. Quando la sua compagna lo ha scoperto, l'ha lasciata in tronco, e oggi neanche le tre figlie – di 19 anni, 17 e 11 – vogliono più incontrarla. "Sono sola, ma finalmente me stessa: una donna libera", dice. "Quando vado a scaricare il camion mi presento con garbo, e nessuno fa battute: se spieghi chi sei, gli altri ti rispettano. Con le mie ragazze però non è così facile, troppi sentimenti in mezzo, ci siamo fatte troppo male: spero un giorno di recuperarle".

Mirella Izzo, di Genova, storica attivista transgender, non è certo vecchia. Ha da poco passato i 55 anni, ma ci tiene a segnalare agli italiani che "anche le persone trans invecchiano". "Non perché a un certo punto non ci vedete più in tv, rimpiazzate da altre più giovani, significa che siamo sparite – osserva sarcastica – Abbiamo una vita oltre le tette. Ma spesso la passiamo in solitudine, malate e con pochi soldi, senza nessuno che ci assista". 



Mirella ha gravi problemi di salute, vive con l'amatissima cagnetta Milky. Reagisce al dolore scrivendo: un libro e già uscito ("Oltre le gabbie dei generi. Il manifesto Pangender") e ne sta ultimando un altro, sul femminicidio. "Sono invalida, ma le discriminazioni e le difficoltà che ho incontrato non fanno punteggio, lo Stato non ti risarcisce. Credo che si dovrebbero riformare i parametri, riconoscendoci un 'bonus transgender': lo avevo fatto inserire in una proposta di legge, quando Vladimir Luxuria era in Parlamento, ma poi non se ne è fatto più nulla".