La sua unica colpa? Essere una donna transessuale


Giorni fa volevo affrontare il tema della situazione delle persone transessuali in carcere, ma dopo aver fatto una ricerca in rete ho visto che di materiale ce n'è tanto, anche se mancano delle vere statistiche su quante siano quelle detenute nelle carceri o nei CIE perché vengono registrate col nome e il sesso anagrafico.
Quindi, ho deciso di raccontarvi la vera storia di Eva (nome di fantasia), una transessuale che ho conosciuto grazie al tirocinio fatto in carcere come animatrice di comunità.

La storia risale a più di venti anni fa ma non credo che nulla sia cambiato da allora e se fosse cambiato qualcosa sarà stato sicuramente in peggio.

Eva è una bella ragazza di 20 anni che negli anni '80 vive a Roma e per vivere si prostituisce.
Molte volte sotto la minaccia di essere portata dentro per adescamento è costretta ad avere rapporti sessuali con carabinieri e poliziotti.
Ce n'è uno in particolare che passa tutte le sere a reclamare un "servizietto".
Ma un bel giorno Eva si stufa e dice no. Il poliziotto le promette che gliela farà pagare.
Mesi dopo mentre Eva sta comprando del fumo da un crossgender viene fermata dal suddetto poliziotto e portata in questura insieme allo spacciatore.
Viene lasciata in una sala d'attesa fino a mezzanotte e poi trasferita in una cella al terzo piano sottoterra di una struttura nei pressi della Stazione Termini; secondo lei era un posto dove venivano detenuti gli antifascisti durante l' era mussoliniana.

Eva è sgomenta, ha paura, è chiusa al buio in una cella sotterranea senza sapere perché.
L' indomani viene prelevata e portata a Regina Coeli. Le tremano le gambe, è spaventata, ha solo 20 anni e prima di allora non era mai stata nemmeno fermata per una multa e non capisce perché si trova lì. Dopo le umiliazioni delle ispezioni corporali, le impronte delle mani, e tutta la procedura, viene informata di essere accusata di detenzione e spaccio di stupefacenti. Viene portata alle celle di rigore di Regina Coeli perché non esistono reparti  per persone transessuali.

La sbattono in una cella senza finestre, con solo una branda e un secchio per fare i suoi bisogni, e intanto sente le voci dei detenuti che urlano di tutto nei suoi confronti.
Le vengono concessi 10 minuti d'aria al giorno, ma da sola, stare con gli altri detenuti potrebbe essere pericoloso, potrebbero picchiarla, stuprarla: nelle celle di rigore ci sono i peggio delinquenti. Malgrado sia incensurata quando incontra il PM tre giorni dopo le viene negata la libertà provvisoria.

Il processo è fissato per una settimana dopo, ma viene rimandato perché il poliziotto che l'ha arrestata non si presenta. Viene rispedita in carcere e il processo è fissato trenta giorni dopo. Eva in cella non può tenere niente, così per accendersi una sigaretta deve chiamare i secondini. Molti di loro di notte la vanno a trovare e con le minacce la costringono a fare degli strip mentre loro si godono lo spettacolo dallo spioncino, qualcuno si masturba anche. Eva è l' unica a poter fare la doccia tutti i giorni, gli altri detenuti possono farla solo una volta a settimana.

Non è un privilegio ma una scusa per guardarla nuda mentre è sotto la doccia.

Arriva la data del processo, di nuovo il testimone non si presenta, di nuovo il processo è rimandato di un mese ma quantomeno viene trasferita al carcere di Rebibbia, reparto "Infami".
Però mi racconta che lì si trovava bene, era in cella con altre tre detenute transessuali, usufruiva di due ore d' aria e di un' ora di socialità nel pomeriggio.
Finalmente dopo un altro mese di detenzione arriva la data del processo, testimoniano tutti e Eva viene assolta, addosso non le era stato trovato nemmeno un milligrammo di hashish e non c' era nessuno al momento dell'arresto a parte lei e lo spacciatore.

La sua unica colpa? Essere una donna transessuale, incensurata per giunta. Per aver trovato la forza di dire NO a un poliziotto.


2 commenti:

  1. Il sistema carcerario italiano va riformato, e gli abusi di potere vanno denunciati e puniti.

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